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Rapimento di Susan Minot, Feltrinelli

DENTRO LE PAGINE DI UNA STORIA HARD, SOPRATTUTTO UN ROMANZO DI SENTIMENTI
Chi avesse acquistato "Rapimento" di Susan Minot, allettato dal tema del "rapporto improprio" - quello che, a suo tempo, ha messo nei guai il presidente Clinton, certamente ne trarrebbe deluse aspettative, perché nel romanzo della giovane bostoniana, esordiente negli anni Ottanta nel gruppo dei minimalisti, collaboratrice nel 1996 con Bertolucci alla sceneggiatura del film "Io ballo da sola", vibra un'intensa storia di sentimenti, fatta di incertezze, abbandoni in un sottile gioco di distanze e riavvicinamenti, abilmente orchestrata dall'autrice.
Certo, con questo non vorremmo sostenere trattarsi di un romanzo su cui formare la cultura delle educande, ma possiamo assicurare il lettore dell'assenza di quei pruriginosi eccessi a cui l'argomento avrebbe potuto porre l'estro; molte riviste femminili, che normalmente entrano nelle nostre case, sono più esplicite e morbose sull'argomento.
I due amanti della Minot - sotto il profilo carnalmente erotico - sembrerebbero quasi a letto per caso, presi come sono piuttosto dalle elucubrazioni sul passato e dai flash dei loro tormentati ricordi. Immaturo lui, Benjamin, diviso e sempre indeciso tra Kay e Vanessa, in un egoistico doublage; orgogliosamente delusa lei che, nel giovane regista crederebbe, finalmente, di aver incontrato il vero grande amore.
Fa abbastanza meraviglia, anche se nella vita tutto è possibile, che in un momento di intimità così "particolare" i due pensino a ben altro: alla loro trascorsa relazione con i suoi momenti felici ed annoiati, alla fidanzata di lui; dalla prima infatuazione al consolidamento del rapporto, con sempre la memoria volta al memorabile viaggio di lavoro nel Messico, luogo "galeotto" del loro amore. Kay si interroga ripensando al primo bacio ("Cos'era stato a farla innamorare? Un bacio mentre pensava a qualcuno che le piaceva e che era morto? Il fatto che fosse arrivato in quel momento di disorientamento? Non aveva qualcosa a che fare con la sua personalità? Con il fatto che fosse riuscito a farla ridere? Oppure era perché improvvisamente aveva sentito gli occhi di Benjamin penetrare nel suo io più profondo?").
L'incontro fisico dei due giovani, in definitiva, ci sembra privo di quel fuoco che ci saremmo potuti aspettare, il loro sembra più un amore da manuale, dentro cui vibra già tutta la deludente previsione di un addio.
Benjamin si chiede, alla fine, "se Kay avesse la minima idea di quanto fosse triste, o di quanto si sentisse distrutto, sporco o cattivo. Per molto tempo era scivolato nell'ombra così che nessuno potesse vederlo bene. Perché, se l'avesse fatto, avrebbe scorto un essere umano veramente spregevole".
E, da parte nostra, non sapremmo proprio dargli torto.

Grazia Giordani

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