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Romanzi e Racconti di Bulgakov, I Meridiani Mondadori

UNIVERSO ARTISTICO E VITA BREVE DI BULGAKOV OPPRESSO DAL REGIME STALINISTA
"Vivesti duramente, fino in fondo/serbando il tuo magnifico disprezzo", ha scritto Anna Achmatova, in morte di Michail Bulgakov, lo scrittore che nel '39 l'aveva fatta esclamare: "Geniale!", alla lettura segreta del suo capolavoro: "Il Maestro e Margherita".
A farci penetrare nell'universo artistico del grande ucraino e nella sua vita dolorosa e breve, rispecchiata dalla sua straordinaria e misteriosa opera letteraria, provvede in maniera esaustiva la collana "I Meridiani" della Mondatori, a cura di Marietta Cudakova - la più autorevole esperta bulgakoviana - che sa guidarci ad una lettura graduale dai racconti ("La corona rossa" del '22) ai romanzi brevi ("Cuore di cane" e "Le uova fatali" del '25), la cui azione si svolge ormai nell'""anormale" realtà sovietica", ad opere di più vasta stesura ("La guardia bianca" del '27), per giungere al capolavoro "Il Maestro e Margherita", cui l'autore lavorò per nove anni fino alla morte. Uscì postumo sulla rivista "Moskova" tra il '66 e il '67, e - pubblicato per la prima volta fuori dall'Unione Sovietica nel '68 -, fu un successo mondiale.
L'attenta analisi critica della Cudakova pone in luce la molteplicità delle voci nel pensiero bulgakjoviano che vanno dal tema della colpa di una nazione intera, per cui tutti i russi sono colpevoli di aver dato inizio alla distruzione del loro paese ("La follia di questi ultimi due anni ci ha spinto su una strada tremenda in cui non c'è tempo di fermarsi, di riprendere fiato. Abbiamo cominciato a bere il calice del castigo e lo berremo fino in fondo"), a quello della malattia (in "Morfina", inizio anni Venti - 1927, la malattia diventa il filtro attraverso cui il protagonista guarda alle cose, il mondo in cui vive - morbosamente, alla lettera - il radicale rivolgimento sociale. E qui non va dimenticato l'aspetto autobiografico poiché negli anni della sua professione medica Bulgakov era realmente diventato morfinomane, assumendo lo stupefacente per contrastare gli effetti collaterali di un vaccino antidifterico). Altri temi ricorrenti sono quelli del "sogno" e dell'"espiazione" , per cui dalla "casa del dolore" si può camminare verso la "pace" di un'altra vita.
Certo è che nella Russia degli avanzati anni Sessanta deve aver fatto l'effetto di una vera bomba letteraria ed umana questo stranissimo romanzo - inquietante sintesi di realtà evangelica ed autobiografica, in cui convergono realtà contemporanea e recente - assurto al valore di "Vangelo dei poveri", paragonato da Pavel Popov ai "Demoni" di dostoevskijana memoria e che indusse la terza moglie dell'autore - Elena Bulgakova - a ricordare l'esaltante stupore del ristretto numero degli amici a cui lo scrittore aveva letto nel '39 l'opera ("Ricordo i volti degli ascoltatori, l'espressione dei loro occhi e una nettissima sensazione: la voglia di saltar su, di lanciarsi verso chissà dove, di raggiungere qualcosa").
Non è difficile comprendere i motivi per cui la censura sovietica non avrebbe mai potuto approvare la forza rivelatrice di questo romanzo in cui il Male e il Diavolo, incarnati in una parvenza di Bene (paradigma della figura di Stalin), sono il pretesto per offrirci la spietata satira del comunismo e la vicenda sofferta ed autobiografica del grande scrittore umiliato e prigioniero dello stalinismo. Era inevitabile il transfert tra scrittore e lettori, compartecipi di simili sofferenze e di identiche ali, impedite verso il volo della libertà.
La trama del romanzo si articola su più piani: il primo è l'improvvisa comparsa a Mosca del Diavolo, sotto le spoglie del mago Woland, che discute di religione con due letterati sovietici, compie esperimenti di magia e mette a soqquadro il rigido burocratismo sovietico; il secondo è il romanzo scritto dal Maestro, che narra dell'ambiguo rapporto tra Gesù e Ponzio Pilato; il terzo è la storia d'amore tra la bella e agiata Margherita e il Maestro, letterato vessato dai leader della letteratura sovietica ufficiale. Il Maestro è stato rinchiuso in ospedale e Margherita, pur di rivederlo, accetta di diventare la regina del sabba infernale organizzato da Woland. Nel finale Woland riparte da Mosca, dopo aver acconsentito a riunire nella pace eterna i due amanti, mentre Gesù e Pilato riprendono la discussione interrotta venti secoli prima. Solo la "pace" spetta al Maestro e non anche la "luce" che sarà invece concessa al più grande colpevole. Qui sta l'enigma più inquietante del romanzo, specchio della tortuosa filosofia dell'autore, per cui si rendono possibili almeno due letture del destino del Maestro - precisa la Cudakova -: quella di un uomo che è riuscito a fare propria "l'immagine e la somiglianza" del Cristo, non attraverso l'"ascesi", ma attraverso la sacrificale assimilazione artistica della sua individualità e del suo destino; oppure siamo di fronte a un Secondo Avvento di cui nessuno ha preso coscienza; per questo il tempo si è fermato e adesso davanti a noi è "la cattività infinita".
L'apprendimento dei dati biografici - che la curatrice dell'opera espone in un'attenta cronologia, incline a non darci un "santino" della vita di Bulgakov, ma un veritiero percorso del suo vissuto (non tacendoci la sua inclinazione al gioco d'azzardo e la sua "volubilità" coniugale) - ci aiuta a penetrare in parte l'enigma del suo capolavoro, aperto a molteplici chiavi di lettura.
Bulgakov ha visto la luce a Kiev nel 1891 e ha chiuso i suoi giorni a Mosca, nel 1940, stroncato da una malattia ereditaria. È vissuto in un ambiente tradizionale, cristiano. Medico, grande igienista, conservatore, non persuaso dalla rivoluzione del '17 e dalla guerra civile, vissute dalla parte dell'Armata Bianca, perseguitato politico, quale "nemico della rivoluzione", drammaturgo di folgorante successo, umiliato dalla censura delle sue pièce teatrali e dei suoi scritti, vessato da perquisizioni e da interrogatori alla Lubijanka, oppresso dalla miseria, tormentato dall'ambiguo rapporto con Stalin - che pur opprimendolo ed impedendogli l'espatrio -, non poteva fare a meno di ammirarlo, recandosi a teatro per ben quindici volte ad assistere alla recita de "I giorni di Turbin" -, porta dentro il suo prodigioso romanzo molta parte della sua difficile esistenza, fino a raggiungere l'acme dell'enigma che lo consacra epigono di Dostoevskij.
Contraddicendo arditamente l'autore, nutriamo la motivata speranza - arrivando alle ultime pagine de "Il Maestro e Margherita" - che Bulgakov, con la sua dolorosa fine, non si sia solo innalzato "dalla casa del dolore verso la pace di un'altra vita", ma abbia visto anche l'agognata "luce", quella che misteriosamente, aveva negato al protagonista del suo romanzo.

Grazia Giordani

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