Recensioni e servizi culturali
Stretta nel tempo di Leni Riefenstahl, Bompiani
LA "QUASI DIVA" NEGLI ANNI DEL TERZO
REICH SI DISCOLPA
"Fu attrice, la Riefenstahl - precisa Enrico Grezzi, in prefazione a "Stretta
nel tempo" (Bompiani) -. E ancora prima danzatrice; su quella scena degli
anni Venti tedeschi, in bilico tra avanguardia assoluta e pesantezza nazionalistica,
nazionalpopolare, razziale. Rapida la scelta a favore della suprema danza, il
cinema.
Attrice, attrice (quasi) diva con il gusto dell'immagine e dei corpi belli,
già pronta a guardare nel mirino per scegliere le inquadrature. Non c'è
bisogno di leggere il libro della Riefenstahl come una memoria difensiva; per
avere chiara la sua incredibile e straordinaria ambiguità, basta sentir
raccontare come nasce il suo cinema".
Dotata di una bellezza "intellettuale", antitesi della maggiorata,
graziata in giovinezza da un fascino fatale, la ora novantatreenne diva del
passato, continua a restare sulla breccia, "attiva in immersioni subacquee
e in riprese sottomarine per un film, e ancora impegnata nel montaggio del materiale
girato in Africa decine di anni fa sul Nuba".
Non demorde la pervicace Leni, determinata a restare la "diva assoluta
del secolo", anche se non più esposta alla luce dei riflettori,
ma raccontata dalla sua stessa penna; penna ambigua, pur nella pignoleria dei
minimi dettagli, fatta di precisione e chiarezza nel narrare del suo coinvolgimento
con gli uomini chiave del Terzo Reich.
"Testimone di riunioni decisive dei capi hitleriani agli albori del nazismo,
desiderata da Hitler e concupita da Goebbels, passionale amatrice di eroi della
prima guerra mondiale, di atleti, esploratori, sciatori, piloti, ufficiali,
registi, nel suo racconto tutto questo (proprio perché così dettagliato
e insieme immotivato e tralasciato) ha lo spessore indefinito e bizzarro di
un sogno" - questo, fra l'altro, afferma Ghezzi nel suo acuto commento
al diario della Riefensthal, spingendoci a cogliere con occhio smaliziato, da
lettori accorti, la vis filmica di una donna che ha saputo fare mirabilia
con la macchina da presa.
Dalle sue memorie - "birichine", nella parte iniziale, dove la giovane
Leni, può rinviarci a una "Claudine", formato teutonico, e
poi sempre più consapevoli di aver fatto parte della Storia grande della
sua nazione, o meglio della "sua storia contro la storia" - esce a
tutto tondo, l'immagine di una figura femminile fra le più controverse
del nostro tempo, tenendo conto del fatto che i suoi legami con il nazismo "ne
hanno offuscato il genio e la personalità, privando la cultura contemporanea
di un testimone scomodo, ma indispensabile per comprendere le spinte innovative
di questa fine di millennio.Con questa autobiografia, la "sacerdotessa
del Bello" ha scelto di prendersi una rivincita sulla Storia, chiamando
a deporre sia i suoi "accusatori", sia i testi a discarico: Joseph
Goebbels, Herman Göering, Albert Speer, Georg Pabst, Vittorio De Sica,
Josef von Sternberg
Ne risulta un "documentario verbale" che,
per intensità, può essere paragonato al suo capolavoro, Trionfo
della volontà".
Parlando degli uomini che l' hanno vagheggiata e circondata di lusinghe, la
bella Leni non sa nascondere il suo compiacimento femminile e la consapevolezza
del suo fascino, regalandoci anche il "ritratto" di un Hitler in caduta,
ma non per questo in ginocchio, ipercritico nei confronti della nostra nazione,
al punto da aver affermato: "Mussolini è un'eccezione: le sue doti
sono molto al di sopra di quelle della media degli italiani, che combattono
le guerre soltanto per perderle. (
) A parte i loro alpini, sono inetti
alla guerra, al pari dei popoli dei Balcani, con la sola esclusione dei valorosi
greci. Per noi l'entrata in guerra dell'Italia è stata una sventura.
Se gli italiani non avessero attaccato la Grecia, e non ci avessero chiesto
aiuto, il confittosi sarebbe evoluto diversamente. In Russia avremmo anticipato
la morsa del gelo, conquistando Leningrado e Mosca. Non ci sarebbe stata alcuna
Stalingrado. (
) Mussolini sta conducendo una lotta alla testa di una nazione
che lo ha vergognosamente tradito".
Arrestata dagli alleati nel 1945, la fascinosa regista (famosa per documentari
e film, tra cui: La bella maledetta, La vittoria della fede, e
- soprattutto - per il già citato Trionfo della volontà),
viene definitivamente prosciolta nel 1952 dall'accusa di aver svolto attività
politica nelle file naziste.
Grazia Giordani