Recensioni e servizi culturali
Suite francese di Irene Némirovsky, Adelphi
Sinfonia in due tempi
Troppo spesso chi si occupa di critica letteraria tende a parlare di “capolavoro”.
Ma nel caso di “Suite francese” di Irene Némirovsky (Adelphi,
pp.415, euro 19) le lodi sono più che meritate, perché ci ritroviamo
tra le mani un romanzo di rara bellezza, nell’elegante traduzione di Laura
Frausin Guarino, impreziosito dalla postfazione di Myriam Anassimov .
Pubblicato postumo in Francia, a cura della figlia Denise Epstein che per ben
sessant’anni aveva conservato il manoscritto della madre, vergato in finissima
scrittura, chiosato con appunti e note della stessa autrice , questo prodigioso
romanzo, giunge a noi in Italia a un anno di distanza. Scritto in presa quasi
diretta con gli avvenimenti narrati dei primi bombardamenti su Parigi, con la
fuga precipitosa degli abitanti atterriti per l’arrivo dei tedeschi nella
capitale francese nel giugno del 1940, la narrazione ci porta al centro di una
storia tanto straordinaria quanto struggente. Il progetto iniziale della scrittrice
era quello di ritmare le sue pagine nella struttura di una sinfonia per cui
– apprendiamo dalle sue stesse note che appaiono in Appendice –
avrebbe dovuto avere un andamento in cinque movimenti, ma noi possiamo leggerne
solo i primi due, rammaricandoci della forzata “mutilazione”, perché
la sfortunata autrice ebbe il drammatico destino di essere arrestata e poi deportata
a Auschwitz..
Nata a Kiev, figlia di un banchiere ebreo, la Némirovsky già aveva
conosciuto il dramma della fuga ai tempi della rivoluzione russa del 1917. In
Francia aveva trovato l’amore – sposandosi nel ’26 con Michel
Epstein – e il successo di affermata scrittrice. Madre di due figlie,
conduce un’esistenza piacevole e agiata finché il destino non le
riserva il fatale epilogo. Sarà dalle mani del padre, in seguito vittima
della stessa fine, che le due piccole figlie riceveranno il manoscritto con
le due prime parti del romanzo. Vivranno nascoste, affidate a una affezionatissima
tata per tutto il periodo bellico. È stata molto toccante la testimonianza
che ha reso per noi Denise, nel corso di una recente trasmissione radiofonica
di Rai tre, dove intervistata da Sinibaldi, ha ricordato come lei e la sorellina
avevano atteso il ritorno dei genitori, sperando di rivederli tra i sopravvissuti
ai campi di sterminio, e come per molti anni non avevano avuto il coraggio di
leggere quelle quattrocento pagine di un romanzo in cui verità e finzione
si sposano in un inscindibile e commovente connubio.
La carrellata di personaggi parigini in fuga, descritti dall’autrice,
spesso corrisponde a figure reali, veramente conosciuti anche dalle due bambine.
Vedasi la famiglia borghese dei Péricand, paradigma della buona borghesia
francese, squallidamente conformisti, ingessati nei loro pregiudizi, di cui
lo sguardo disincantato dell’autrice ci regala ritratti di alta bravura,
ridicolizzandone i limiti e le manie e i tic, in maniera indimenticabile. Così,
dopo aver letto della parsimoniosa oculatezza della signora Péricand
che imballa ogni cosa per la fuga da Parigi e porta scrupolosamente con sé
i suoi beni materiali e i suoi figli e i suoi domestici e il suo spirito caritatevole
sempre esibito, non possiamo non restare esilarati dalla sua non certo piccola
dimenticanza del suocero disabile in carrozzella :“Guardò ancora
una volta tutto quello che era riuscita a portare con sé, ‘tutto
quello che aveva salvato!’: i suoi figli la sua valigetta. Toccò
i gioielli e il danaro nascosti sul petto. Sì, in quei terribili momenti
aveva agito con fermezza, coraggio e sangue freddo, non aveva perso la testa…
Non aveva perso… Non aveva … Improvvisamente gettò un grido
strozzato (…) Abbiamo dimenticato mio suocero- disse la signora Péricand,
scoppiando in lacrime”. E scene del genere divertirebbero il miglior Dickens.
E le pagine della fiumana ribollente dei parigini in fuga piacerebbero a Tolstoj,
citato negli appunti dalla stessa scrittrice.
Ritratto indimenticabili anche quello dello scrittore Gabriel Corte, un esteta
preoccupato dei suoi manoscritti che ha orrore della povertà, e quello
della ballerina Arlette, disposta a qualsiasi compromesso, per la sua sopravvivenza,
cinica ad oltranza. E come dimenticare i coniugi Michaud così saggi nella
loro modestia e dolcezza, contrapposti all’arido banchiere? E i collezionisti
di preziose porcellane, presi solo dal salvataggio dei loro oggetti? Anche l’episodio
degli orfani che si rivoltano all’ingenuo prete diventando spietati aguzzini
merita una lunga riflessione, proprio perché la “pietas”
della Némirovsky spesso è a doppio taglio, colorandosi dell’ossimoro
di note crudeli.
La massa di persone in movimento con i personaggi di cui sopra, intenti a porre
in salvo soprattutto mobili, suppellettili e argenteria è contenuto nel
primo movimento della “Suite française”, intitolato “Temporale
di giugno”; in “Dolce” riappaiono di striscio i coniugi Michaud,
forse gli unici capaci di mantenere il dignitoso calore della loro umanità.
In questa seconda parte del romanzo, protagonista è soprattutto la storia
d’amore tra la francese Lucile e il tenente tedesco che ha requisito la
sua abitazione. Un rapporto che non ha implicazioni fisiche, fatto di un dolce
sentimento, di un’intesa intellettuale e spirituale, un’affinità
così coinvolgente da far dimenticare alla donna e a noi stessi che il
tedesco è il nemico.
Resta vivo il rammarico dell’opera incompleta, dei tre tempi finali che
l’autrice aveva progettato nei suoi appunti, così come aver visto
premiato postumo il romanzo in Francia, ci ha riportato – per associazione
d’idee – la malinconica immagine delle medaglie d’oro appese
al petto degli orfani dei caduti in guerra.
Grazia Giordani