Recensioni e servizi culturali
Terra rossa e pioggia scrosciante di Vikram Chandra, Instar Libri
MAGICA INDIA, TERRA DI MILLE REINCARNAZIONI
"Ascoltate. Sto per raccontarvi una storia. Vi racconterò di mogli
e bravi medici, soldati, poeti, tribù, perdigiorno e teppisti, bugiardi,
truffatori, piloti temerari, cavalli focosi, giocatori d'azzardo, uomini di
mondo, attrici, politici, vi racconterò di loschi affari, denaro sporco,
grandi amori, corse campestri, contadini e raccolti, pescatori e consigli municipali,
capi religiosi e, naturalmente, cavalieri. Racconterò una storia che
crescerà come un loto rampicante, si avvolgerà su se stessa e
si espanderà senza fine, finché ciascuno di voi entrerà
a farne parte, gli dei verranno ad ascoltare, finché tutti noi paleremo
in un'armoniosa confusione che contiene il passato, ogni attimo del presente
e il futuro infinito".
Questo invito dell'autore è una promessa mantenuta per chi - navigando
dentro le 741 pagine del testo - arriva alla fine del "viaggio", leggendo
Terra rossa e pioggia scrosciante di Vikram Chandra che, nato a Nuova
Delhi nel 1961, cresciuto nel leggendario Rajasthan, ha frequentato l'università
in America, diviso a metà tra la fantasiosa cultura indiana e quella
tecnologica degli States. Ed è proprio questo doublage intellettuale
- diviso tra India e Washington che regala magico colore alle pagine del suo
romanzo fiume, pubblicato in Italia da Instar Libri, per l'ottima traduzione
di Anna Nadotti e Fausto Galuzzi.
Accolto dalla critica anglosassone con caldo entusiasmo, questo libro che non
accenderà soltanto le nostre fantasie, ma sarà in grado di "arredare"
anche la nostra libreria, per la sua grafica così ornata di orientali
arabeschi e fantasiose cornicette, e per la splendida copertina, con illustrazione
di Dennis Leigh (1998), ci proietterà dentro il mondo della reincarnazione.
Parashen, spirito chiuso nel corpo ferito a morte di una scimmia, riemerge dagli
antri dell'inconscio per raccontare la sua storia, davanti a una macchina da
scrivere. Tale è l'accordo stretto con Yama, Signore della Morte. Il
suo escamotage di salvezza sarà quello di tenere incollata a sé
l'attenzione degli ascoltatori per due ore al giorno. Hanuman, migliore tra
le scimmie e patrono dei poeti, gli offre protezione e suggerisce lo stratagemma
di deferire il compito ad Abbay, il ragazzo che lo ha ferito e che si rivela
pienamente in grado di affascinare una vasto pubblico, coinvolgendolo con le
sue storie dense di mistero che abbracciano diversi continenti, spaziando all'infinito
nel tempo.
Incontriamo un'India sinuosa che ci prende dentro le sue spire, così
come ha avvinto il giovane Abbay, che non è riuscito a svincolarsi da
questa terra esoterica. Ma spaziamo anche lontano e dal passato ci balza incontro
Alessandro Magno con la sua volontà di onnipotenza e le sue imprese guerresche,
Benoit de Boulogne e la sua vita sognante, e le vicende stregonesche di Shardhana
e del suo amante Jahaj Jung, in uno snodarsi infinito, come lo scorrere di un
poetico flusso di reincarnazioni che ci danno la misura della necessità
ed importanza, per gli orientali, del risveglio del sé remoto,
che in ognuno di noi, dovrebbe riaffiorare perché si fosse veramente
in pace con noi stessi.
I racconti molteplici e gli episodi che si intrecciano - con ampi voli pindarici
spazio temporali -, sono le tessere di un immenso mosaico: trame infinite che
confluiscono come deliziosi ruscelli nello stesso grande fiume narrativo.
L'arazzo, tessuto di infiniti fili colorati, ci riporta alle Mille e una
notte, a Omero, alla poesia bretone, in un'alternanza fantastica di incantamenti
e passioni. Lo scopo ci appare essere soprattutto quello di fuggire dalla morte,
estraendo dal profondo i ricordi, per un'autopurificazione.
L'affabulazione colta e sottile di Vikram Chandra, nel condurci in viaggio in
un mondo fantasioso, così lontano dalla nostra visione occidentale della
vita, dentro una filosofia che non appartiene alla nostra tradizione, ci insegna
anche a fermarci, a concederci una "stazione", una pausa fra le ansie
quotidiane, a smettere, per un momento di inseguire noi stessi. Fermarci significa
anche imparare ad ascoltare con orecchio nuovo il fluire perenne della vita,
la voce non solo nostra, la voce degli altri, la parola dell'autore che ci ha
fatto entrare nell'incantesimo della sua Favola.
Grazia Giordani