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Un amore proibito di Mary Letourneau, Mondadori

MALEDETTA PASSIONE FATALE
Vi è mai capitato, vedendo un film poliziesco, di partecipare per il colpevole? Se siete fatti così, qualcosa di simile potrebbe accadervi leggendo Un amore proibito di Mary Letourneau, che Mondadori ha portato per noi in Italia, molto ben tradotto da Elena Dal Pra. Un romanzo-verità che ha messo in subbuglio e profondamente turbato i benpensanti americani, campioni di pruderie e che sarà accolto - supponiamo -, con maggior "benevolenza" dai popoli latini, spesso inclini a giustificare quanto avviene, per trasgressivo che sia, in nome dell'amore.
Mary, la protagonista, è una graziosissima insegnante trentatreenne, di buona famiglia, di Seattle, sposata ad un marito abulico, senza ambizioni, socialmente inferiore a lei, a cui si è legata, dopo qualche tentennamento, con un matrimonio riparatore. Vili, l'amante bambino, è un allievo quattordicenne, innamorato da subito dell'avvenente professoressa, originario delle isole Samoa, un adolescente irrequieto, ma sensibile ed intelligente.
Un'attrazione fatale, più forte di loro, li conduce alla rovina. Mary è condannata a sette anni e mezzo di carcere, e - quello che soprattutto ci appare grave - a non vedere più né i quattro figli avuti da Steve il marito, né i due nati dalla sua relazione adulterina. La loro storia ha campeggiato sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo. Il loro è stato un amore struggente, più forte della ragione, inevitabile come una tempesta ardente che è piombata loro addosso, come una valanga di fuoco a cui non hanno saputo sottrarsi.
Nel romanzo-confessione, a due voci, fra quelle di Mary e Vili, si introduce anche il pensiero di Soona, la madre del ragazzo, una donna saggia e coraggiosa, fuggita dalle Hawaii, per giungere a Seattle, con quattro figli, al fine sottrarsi alle sevizie di un marito violento. È chiaro che i protagonisti della storia appaiono consapevoli dell'anomalia della loro vicenda così trasgressiva in maniera macroscopica, ma è altrettanto evidente che vogliono spiegare al mondo, come per amore si possa perdere tutto quello che si possiede materialmente e spiritualmente, persino la propria libertà, quello che dovrebbe essere comunque il bene più grande.
"Anche un assassino - dice la madre samoana - ha il diritto di vedere i suoi figli e un assassino può attaccare le foto di tutti quelli a cui vuole bene sulle pareti della sua cella. Mary no. La legge, nella sua grande saggezza, ha deciso che non è capace di vedere i suoi bambini o Vili senza fargli del male, mentre lei li ama con tutto il cuore".
Forse ci sentiamo, nonostante noi, un po' dei voyeur, leggendo i prodromi del sentimento fatale che ha travolto una madre profondamente insoddisfatta dalla pochezza della sua vita coniugale, già vulnerata da episodi graffianti della sua infanzia (la morte per annegamento di un fratellino a lei affidato e che si autoaccusava di non aver saputo sorvegliare; una madre arida e troppo borghese, ecc.) e un adolescente estroso, più grande dei suoi quattordici anni, precoce in tutti i sensi.
Il progredire inesorabile della loro storia, minuziosamente narrata, anche nei particolari più intimi, ci dà la consapevolezza che nessun buon consiglio avrebbe potuto "salvarli", del resto anche l'ottuso marito, quando comprende la situazione, la accetta, rendendosi - ai nostri occhi - più colpevole dei colpevoli, con la sua connivenza. Nessuna intromissione esterna avrebbe potuto fermare quella fiammata fatale che ha bruciato i giorni dei protagonisti. Le pagine che parlano di arresto, interrogatorio e prigionia, gettano un'ombra drammatica sulla vita dei due amanti che poco prima avevano parlato con toni gioiosi della loro scoperta di un amore senza scampo.
"Quando chiusero Mary in prigione per sei mesi - scrive Vili a proposito del primo arresto -, all'inizio restai quasi tutto il tempo a casa, chiuso in me stesso, nel mio mondo. Volevo capire come avrei potuto vivere il mio amore per lei e la mia vita contemporaneamente (...) Pensavo molto alla parte spirituale del nostro amore, a quello che volevano dire i miei sogni, e al senso di tutto questo. Disegnai un cuore che illustra bene la storia del nostro amore. La passione carnale, la nascita di Audrey, la selva di spine che il nostro amore ha dovuto attraversare perché i nostri cuori possano unirsi di nuovo".
Dopo la condanna definitiva di Mary, accusata di aver plagiato e stuprato un minorenne, la protagonista di questo romanzo-verità scrive: "Ho passato un anno e mezzo a resistere, a battermi contro la violenza di un marito e l'idiozia di una società che mi rinchiude e si autoimprigiona nelle sue stesse leggi. (...) Appartengo a una società protetta da leggi morali talmente rigide e così potenti che i nostri diritti civili sono stati spazzati via senza scrupoli. Quelli di Vili e i miei. Aiutateci. Noi abbiamo imboccato, lo so, un cammino diverso dagli altri (...). Sono stata punita abbastanza. L'amore non conosce leggi. L'amore è arrivato nella mia vita come un fulmine, venuto dal cuore e dal corpo di questo giovane guerriero, di questo poeta, la mia anima gemella".
Il romanzo-confessione si chiude con una nota dell'editore che, fra l'altro, scrive: "Condannata a sette anni e mezzzo di reclusione, (Mary ndr) si è vista proibire tassativamente di rivedere Vili e ha partorito lo scorso ottobre, in prigione. Il bambino le è stato tolto alla nascita. Quando Mary uscirà, avrà quarantatré anni.

Grazia Giordani

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