Recensioni e servizi culturali

Un incontro casuale di Rachel Cohen, Adelphi

Vite illustri legate dal caso
Dalle profonde radici antiche della casualità in letteratura possono ancora nascere rigogliosi fiori nuovi. Come a dire che, dopo il capolavoro di Thornton Wilder, Il Ponte di San Luis Rey, e dopo buona parte dell’opera di Auster e Cunningham – solo per citare pochi nomi della letteratura mondiale -, c’è ancora spazio per intrecci di vite bizzarramente legate dal tanto sottile quanto saldo fil rouge del caso.
Il nuovo stuzzicante affresco di destini ci è offerto dalla penna di Rachel Cohen che nella sua opera prima: Un incontro casuale (Titolo originale: A Chance Meeting Intertwined Lives of American Writers and Artists,1854-1967, Adelphi, pp.502, euro 30), nella traduzione di Stefano Manferlotti, sa farci retrocedere nel tempo, trasportandoci tra Ottocento e Novecento, solleticati dalla compagnia dei più bei nomi della letteratura e dell’arte americana degli ultimi centocinquant’anni.
Anche Willa Cather nel suo delizioso La nipote di Flaubert aveva scritto di incontri fortuiti tra gente di lettere, ma la Cohen non si contenta della verità storica e sa ricorrere al verosimile con mano felice, creando quasi una danza fra i trenta personaggi del volume, sfoggiando una capacità combinatoria che ci riempie di divertita ammirazione. I ritratti della sua galleria sono vivaci come racconti e, nel contempo gremiti di quei dettagli che siamo soliti ritenere tipici del saggio, sottolineati da una ben scelta serie di foto artistiche di Mattew Brady, Carl Van Vechten e Richard Avedon , soprattutto quest’ultimo, ritrattista capace di cogliere non solo l’anima, ma anche i tic, l’ironia dei personaggi fotografati. Incontriamo Henry James bambino e ci sembra di vederlo in posa, con la sua giacchetta costellata di bottoni, proprio nel momento in cui Brady lo ritrae al fianco del severo padre e poi lo ritroviamo adulto,scrittore di successo, schierato dalla parte di Dreyfus, negli anni spinosi dell’affaire, scrittore sottilmente anglofilo, pur nella sua americanità (“prese la cittadinanza britannica, ma non cessò di pensare a se stesso come a uno scrittore americano”). E respiriamo il clima della Guerra Civile tra sudisti e nordisti e vediamo il generale Ulysses Grant sui campi di battaglia e poi a colloquio con lo scanzonato, vivacissimo Mark Twain, primo generoso editore delle sue memorie.
L’autrice di questa silloge di profili ci confida nell’incipit che molti di questi personaggi cominciarono a farle compagnia dieci anni fa, quindi il suo è chiaro che non è stato un lavoro di getto, ma un’opera minuziosa di studio serio, seppur intarsiato di fantasia. “Nel bagagliaio – dice – avevo due casse di libri di Henry James, Mark Twain, Ulysses Grant, Willa Cather, Katherine Anne Porter, James Baldwin, Marianne Moore, Elizabeth Bishop”. Insomma, la Cohen era in compagnia di alcun i fra i più bei nomi della letteratura americana e la tentazione per lei è stata forte di osservare come “si ponevano di fronte all’amore, alla solitudine, alla religione, alla natura, alla storia, a ciò che leggevano, alle loro famiglie. Più di ogni altra cosa, però, mi interessava come vivevano l’amicizia”.
E fu così che la curiosità dell’autrice l’ha portata a scandagliare le pieghe più intime del pensiero e delle consuetudini dei suoi trenta personaggi, dedicando una cura tutta speciale a Elisabeth Bishop (Adelphi ha appena pubblicato Miracolo a colazione) poetessa di cui la critica si va occupando con sempre più vivo interesse per la rara valenza colloquiale dei suoi versi, guidati dall’insolita musa della geografia e non solo perché “più delicati di quelli degli storici sono i colori usati dai cartografi”, ma perché la sua singolare penna è ispirata da quel continente sconfinato in cui lo spazio sovrasta e supera il tempo. Rachel Cohen leggerà miriadi di lettere intercorse tra la Bishop e la Moore e si accorgerà ben presto che non poteva mantenere separati i singoli incontri poiché “questa prospettiva non rendeva ragione del fatto che William Dean Howells, l’amico di una vita di Twain, fosse anche assai caro a Henry James. È nella natura stessa delle storie private che gli elementi da cui esse sono formate si sovrappongano”. Chiuse le cinquecento pagine del quasi saggio, venato di scrittura creativa, siamo persuasi di aver letto pagine per palati esigenti che non si contentano della banalità.

Grazia Giordani

Torna all'indice delle Recensioni