Recensioni e servizi culturali
Una finestra vistalago di Andrea Vitali, Garzanti
SAPIDE STORIE CON VISTA SUL LAGO
A cominciare da Fogazzaro e finendo con Chiara, narratori di vicende ”lacustri”
l’Italia ne ha avuti molti, ma in Andrea Vitali – con il suo «Una
finestra vistalago» (Garzanti) – si ammira anche la rara capacità
polifonica di cucire la trama complessa con abili suture fatte di esitazioni,
rimandi, sospensioni, atti a creare quel clima di attesa che spinge il lettore
a correre sulla pagina per arrivare in fondo, preso da grande curiosità.
Curiosità alimentata anche dalla percezione della “verità”
delle storie narrate, rivisitate poi dalla creatività dello scrittore,
ma con una matrice sottile del riportato di molti paesani “si dice”.
Medico di famiglia, già vincitore del premio «Mont Blanc»
e del premio «Chiara», l’autore nato a Bellano, proprio in
questa cittadina lacustre, ambienta il suo succoso romanzo fatto di sapide storie
con vista sul lago di Como.
Epigono di una grande tradizione narrativa nostrana, Vitali ci fa entrare dentro
un affresco compreso tra gli anni Cinquanta-Settanta, a volte sinuoso come un
labirinto, dove si dipanano le vicende di operai e notabili della piccola comunità
in un polo geografico che corre tra Bellano e Occhiobello, località polesana,
vulnerata nel 1951 dalla terribile alluvione nel Polesine.
La penna ironica dell’autore gioca con le omonimie (vedasi Arrigoni Giuseppe
che segnerà il destino di uno dei protagonisti del romanzo, il giovane
Eraldo Bonomi, operaio tessile nel locale cotonificio) e si diverte, sorniona,
con gli equivoci, slittando, volutamente nel grottesco. Eraldo, con una rimpatriata
in Polesine, si innamora della bellissima Elena, ambigua e scaltra quanto basta
per mangiare la pappa in testa allo sprovveduto ragazzo di provincia, militante
nel PSIUP.
Sebbene entri in pagina buona parte del nostro passato prossimo, nella scrittura
dell’autore, con inevitabili accenni alla politica di allora, Vitali tiene
a sottolineare che il suo «è tutt’altro che un romanzo politico.
La scintilla da cui parte il racconto è politica, ma c’è
un grande intreccio di fatti e storie dove è ampiamente riconoscibile
il territorio bellanese. La parte che mi piace maggiormente è quella
in cui viene descritto un maresciallo dei carabinieri.»
E non stentiamo a credere che questa parte piaccia in particolare a chi l’ha
messa nero su bianco, perché il maresciallo trasuda umanità e
questa caratteristica ci sembra rispecchiare l’interiorità dello
scrittore: leggendolo se ne ricava questa impressione.
Tornando alla labirintica trama – impossibile da riassumere – anche
perché così facendo anticiperemmo quanto, astutamente, Vitali
ci fa scoprire solo alla fine, sarà proprio Eraldo, folgorato da Elena,
a sfiorare segreti, scoprire altarini, trarre scheletri sepolti negli armadi
dell’ipocrita borghesia, nel ventre oscuro di quella provincia dove non
sembra accadere nulla, ma in cui fervono spesso invidie, beffe, vendette, aliti
malsani, fatti di dubbie paternità, intrighi di notai senza scrupoli,
malversazioni di industriali disonesti.
Vita di “strapaese”, di “mondo piccolo” quella descritta
nel romanzo – che sarebbe piaciuta a Guareschi -, dove ci si informa su
nascite e morti, incuriositi sempre dal per chi suona la campana, inclini ad
uno spietato gossip, dove ci si riunisce all’osteria del Cantinone per
festeggiare «le elezioni, le dimissioni del dottore, il nuovo segretario,
il radioso avvenire.» E dove, esaurita la politica, si può brindare
anche ai campioni di calcio e di ciclismo e brindare addirittura al paese o
a specifiche parti anatomiche delle belle donne locali…
Le vicende dei ricchi – quelli che vivono in lussuose ville – e
quelle dei poveri che si consumano in cotonificio, passando i loro giorni in
squallide topaie con illusoria “vistalago”, si rincorrono e snodano
in un girotondo frenetico che offre spazio a ritratti femminili tracciati in
punta di penna, tra cui spicca la già citata bella Elena, la polesana
forestiera dal fascino mozzafiato, furba al punto da saper trarre acqua al suo
mulino: «da casa era fuggita, cinque anni prima. Ma a guardar bene le
cose aveva trascorso quel tempo a fare di tutto, proprio di tutto, per garantire
a sé e alla sua famiglia un futuro.» Nei confronti dell’Eraldo
Elena ha solo un vago rimorso: « Il destino glielo aveva messo sulla strada,
lei l’aveva colto, usato per il suo bisogno. Ma s’era anche sdebitata,
in fondo l’aveva goduta…»
Grazia Giordani