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Pubblicato nel 1992, per i tipi della casa editrice
Turismo &Cultura, dedicato al marito Lino e al figlio Eugenio, narra
la vita di Hena, bellissima madre dell'autrice, e dei suoi due mariti,
Giorgio - l'artista - ed Ennio il veterinario, sposato in seconde nozze.
Il matrimonio con lo scultore, da cui è nata Grazia, ha avuto durata
breve. Trentacinquenne, l'irrequieto, vitalissimo artista (definito dall'amico
fraterno Luciano Minguzzi "l'effervescente Giorgio
Giordani, acuto e logico su ogni cosa scoppiettante
come un fuoco d'artificio, spiritoso, inesauribile, seducente. Aveva uno
stile anche nel dire le cose più futili
") chiuse i suoi
giorni, al culmine della carriera, lasciando la giovane moglie e la figlia
di appena un anno d'età.
Cinque anni dopo, la vedova si risposa con Ennio, lasciandosi alle spalle
il mondo bohémien degli artisti bolognesi, le dispute d'arte
al Caffè San Pietro, dove si riunivano i più bei cervelli
e le persone più creative degli anni Trenta, da Bacchelli a Morandi,
Guidi e Bertocchi, solo per citare pochi dei moltissimi eletti del momento.
"Dalle stelle alle stalle" - usava dire l'ironica, tagliente
Hena - dopo il suo secondo matrimonio, ovvero dal mondo dell'arte, movimentato,
imprevedibile, a quello stagnante, agreste della vita di provincia, e
parliamo della provincia degli anni Quaranta, per di più vulnerata
dagli scempi della guerra.
Procedendo col suo stile "in parallelo", per cui i personaggi
si sfiorano quasi senza vedersi, convivendo in coincidenze di cui sono
inconsapevoli, la scrittrice ci conduce dentro fatti di famiglia veri
e immaginati, con penna agile e cuore dolente, capace spesso di farci
anche sorridere, poiché non è fatto nuovo che tragedia e
commedia siano anche coinquiline della stessa abitazione.
Sergio Garbato, critico de Il Resto del Carlino, ha scritto, in
prefazione al romanzo: "Ecco una ragazza dai fulvi capelli impudenti,
i denti perfetti e il corpo dalle linee voluttuose, posseduta da una strana
e sottile inquietudine; un seducente e irrequieto scultore che tracannava
i giorni di una troppo rapida parabola terrena; un delicato gentiluomo
di provincia che accende le sue insicurezze con aggressivo disincanto.
Li unisce e li trascina un'irresistibile fascinazione, un inappagato appetito
di vita, una fedeltà, a dispetto di tutto, alla propria originaria
vocazione. Li accomuna, al di là del gioco delle coincidenze, una
nostalgia profonda per la campagna e per una sorta di stato di natura
vissuto con intensità durante l'infanzia: i campi, l'erba, il grano
maturo, l'acqua
"
E ancora Garbato acutamente puntualizza: "Certo, Grazia Giordani
racconta sentimenti e sensazioni che le sono anteriori, ma secondo un'ottica
per così dire familiare, secondo il filo di interrogazioni che
trovano una risposta puntuale nel fluire ininterrotto dello stesso sangue
in vene diverse.
I materiali narrativi sono organizzati con estrema attenzione al risultato
espressivo in un gioco di piani paralleli che, con il procedere del racconto,
si assottigliano e finiscono per coincidere. La stessa narrazione viene
portata avanti per frammenti autonomi e tuttavia in uno stretto rapporto
di interdipendenza fra loro, L'uso della terza persona cede ala compresenza
di più protagonisti. Tutto questo perché i ricordi non restino
inerti e uguali a se stessi, perché le risposte tornino ad essere
domande inquietanti (
) Tutto sembra sfiorire con il passare delle
stagioni, con il mondo che cambia, con il sopraggiungere della vecchiaia
e della morte. Ma c'è lei, Grazia, la figlia di Hena e di Giorgio,
testimone affascinata e stupefatta di quelle esistenze, pronta a ricostruirne
i tre paralleli percorsi, a ritrovarne i sentimenti e gli appetiti, compulsando
messaggi e appunti e immagini, scrutando e amando quelle sculture che
ripropongono il volto e il corpo della madre, scrivendo, pagina dopo pagina,
un romanzo intessuto di vita autentica."
Il romanzo ha avuto
un'indimenticabile presentazione da parte del compianto scrittore
Fulvio
Tomizza (nella foto), che in Accademia dei
Concordi a Rovigo, ha fatto nel marzo del 1993, un ideale e generoso
gemellaggio tra l'opera sua e quella dell'amica ("sua sorella
nelle lettere" - così amava definirla), parlando di Hena
e del suo premiato romanzo I rapporti colpevoli. |
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Come comincia:
Diede un calcio a quello che le sembrò essere
un sassolino. Si chinò e vide che era un nocciolo di albicocca:
rassomigliava ad una blatta, persa fra l'erba secca, lungo la sponda del
Volano. La sua piccola mano di tredicenne si protese per raccoglierlo.
Era una ragazzina tutta nervi, detta in casa, "gambasecca".
Prediligeva i giochi da maschiaccio: si arrampicava sugli alberi, non
andava matta per le bambole, era un po' selvatica, lontana da tutto quello
che avrebbe potuto apparirle svenevole.
In famiglia si diceva che non gradisse i baci dei parenti. Se qualcuno
la baciava, pare che estraesse il fazzoletto per asciugarsi, offendendo
le zie zitelle e suscettibili.
Aveva grandi occhi dalla pupilla scura, in contrasto con la sclera bianco-celeste,
particolarità che avrebbe, in seguito, fatto dire al suo primo
marito: "Adoro lo sguardo dei tuoi azzurroni
"
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